Deve esistere un nome per questa cosa tutta palermitana di interpretare le devozioni - e le tradizioni e la convivialità - in chiave gastronomica e soprattutto di risolvere le privazioni in festa. Forse è istinto di sopravvivenza, una forma atavica di rivalsa, chi lo sa. Sta di fatto che da noi il voto alla Santa della Luce, che impone privazione da pane e pasta - cioè da farinacei - diventa una festa per le papille gustative, una celebrazione gastronomica. Arancina day, festa dell’arancina, qualcuno osa timidamente pure un Santa arancina che, lungi dall’essere blasfemo, è in realtà una devozione a sua volta.

 

La storia la sappiamo tutti: anno 1646, carestia, 13 Dicembre, approdo di un cargo carico di grano e i cittadini, stremati, affamati, ingordi, non attendono certo la molitura del grano, lo prendono lo lessano e lo condiscono così com’è, con ricotta e zucchero, inaugurando la prima tradizione di Santa Lucia che prevede si mangi, in memoria e ringraziamento della Santa, la cuccìa

 

Dopodiché con quello spirito che citavamo prima tutto palermitano che interpreta in tavola ogni genere di emozione, il voto di non mangiare farinacei si trasforma in festa del riso - in forma di arancina - del gattò (con due gustosissime “t”) e naturalmente dell’arancina (con una gustosissima e difesissima “a”) ma anche delle panelle, fatte con farina di ceci e delle crocchette di latte. 

 

Dalle primordiali piccole arance ripiene di ragù o di prosciutto e mozzarella, dette “accarne” e “abburro”, se ne è fatta di strada!

Oggi la tradizione si è spinta molto oltre sia sulla cuccia - di cui esistono varianti locali diversissime tra loro - sia sulle arancine.
La prima a Palermo è immancabilmente con la ricotta - e scaglie di cioccolata, canditi, scorze di arancia, cannella… - ma se ne trovano varianti con cioccolata calda o con crema di latte. 
Nel trapanese la tradizione vuole la cuccia al vin cotto, cosa che coniuga la lenta lunghezza della preparazione del grano - lavato, pulito, messo in ammollo per giorni - alla profumata lentezza della preparazione del vin cotto che cuoceva, un tempo, per ore e ore già dalla sera prima svegliando tutti al mattino di Santa Lucia ubriachi di profumo. 

Ci sono poi varianti più spartane, come a Siracusa, dove la cuccia si condisce solo con olio e sale.

Ciò che è costante è il rispetto sacrale della tradizione che vede bar, gastronomie e persino ristoranti, celebrare il 13 Dicembre eliminando pane e pasta dal menù e popolarlo, per la gioia della cheto e in spregio al colesterolo, di gustose alternative che trasformano la privazione in gioia di vivere - e di mangiare! - e nessuno può - né vorrebbe mai in effetti - sottrarsi, a questa tavola goduriosa a cui sono invitati tutti, bambini, anziani, persino i quadrupedi di casa certe volte, tanto dura solo un giorno, che per di più è il più breve dell’anno, che male mai farà un’arancina fritta che un piatto di cuccia con ricotta non possa guarire?


E chi siamo noi, minuscoli esseri umani, davanti alla grandezza di una donna che fu Santa per amore?