“L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita” recita l’epigrafe incisa all’ingresso del Teatro Massimo di Palermo, ed è quasi un manifesto: l’arte rinnova i popoli e anche i quartieri.

Decine, centinaia di progetti nel mondo vedono la street art protagonista di uno straordinario cambiamento, di uno sviluppo. Cambia segno e lascia un segno ancora più graffiante, vista in principio come operazione di rottura, quando non come imbrattatura da rimuovere, si è trasformata oggi in un gesto che ne esalta la capacità innovativa, che partecipa della rigenerazione delle città e, sempre più spesso, anche delle persone. 

Solo in Italia: MurArte a Torino, era il 1999, poi RestArt, Imola, 2015, il Parco Dei Murales, Napoli e ancora quartieri di Milano, Roma, Bologna, Ancona. Interi borghi come Civitacampomarano, piccolo borgo molisano dove dal 2016 il festival Cvtà ha convogliato street artist da ogni parte del mondo, rivivificando un luogo che rischiava di sparire nell’abbandono e che invece si è trasformato in un posto vivo, arricchito anche da nuove attività. 

“Abbandono” è un termine ricorrente nei discorsi su questa forma d’arte, insieme a “cura”: sembra proprio che la street art sia la medicina per luoghi - e persone - ammalati d’abbandono. 

Nell’efficiente Milano è addirittura nato, nel 2020, un ufficio comunale “Arte negli spazi pubblici“ mentre ancora da prima, dai primi anni 90 è attivo Inward - Centro Territoriale per la Creatività Urbana, che è un osservatorio ma anche un propugnatore di innumerevoli attività e che ha sede a Napoli. 

L’idea è semplice: il colore rende belle le città e l’attività artistica è un aggregatore, un motore anche turistico oltre che un potente strumento di crescita culturale. Non a caso in molte città esistono dei tour dedicati che riscuotono un grande successo. Ma c’è molto altro perché la capacità di questa forma d’arte è trasversale e va in tutte le direzioni: crea ponti anche tra le istituzioni, sollecita, incentiva gemellaggi tra le città, porta e riporta esperienze in spazi, quartieri, che resterebbero altrimenti chiusi nel buio del loro abbandono (ci risiamo). 

Succede così che a Palermo arrivi il comasco Ema Jones, Aris, muralista di Viareggio, e successivamente Alleg, muralista abruzzese, nel 2012 per Borgo Vecchio Factory, azione per il recupero di alcune aree del quartiere Borgo Vecchio - uno dei 4 mercati storici della città, un progetto delle onlus Arteca e Per Esempio, con la collaborazione di Push - non profit che si occupa, tra l’altro, di innovazione sociale.

Alcuni anni dopo sarà Ballarò Tale - SOS Ballarò  e Per Esempio Onlus, a raccogliere e sviluppare lo stesso principio in un altro mercato palermitano - più noto e grande di Borgo Vecchio, ma con lo stesso radicato problema di abbandono. 

Con Ballarò Tale Igor Scalisi ha costruito un racconto illustrato del quartiere nel quartiere, lavorando insieme ai bambini in un processo partecipato e integrato - dal racconto alla scrittura fino all’illustrazione. Sempre a Palermo nel 2018 è il momento della vuccirìa - altro mercato in degrado - dove Igor dipinge un’opera enorme sulla porta di un cantiere (“Santa Morte”). In questi giorni, infine ha preso vita il progetto “Sperone 167 - per una comunità della cura” per la rinascita di due periferie difficili - il quartiere Sperone di Palermo e la 167 di Lecce - in gemellaggio con la città pugliese, realizzato da Igor Scalisi in tandem con l’artista Francesco Ferreri alias Chekos e che coinvolge anche le scuole dei due quartieri Sperone - Pertini a Palermo e P. Stomeo – G. Zimbalo a Lecce. 

Questi progetti hanno in comune la capacità di usare l’arte per parlare alle persone. Una forma di rigenerazione umana che include la rigenerazione urbana, una visione che oppone al grigiore dell’abbandono, la luce del colore, che chiama la comunità non semplicemente al “rispetto della cosa pubblica” o del quartiere ma alla sua stessa creazione. Perché solo così si riportano le persone a sentire propri gli spazi: chiamandole a crearli. In questo modo si crea una relazione tra uomini e cose, una relazione creativa e attiva in un circolo virtuoso di cura e attenzione. Ne abbiamo parlato con Igor Scalisi:

“Palermo non è perfetta, le città non sono perfette, sono come le famiglie, alcune funzionano altre meno, alcuni fratelli hanno dei talenti e altri ne hanno di diversi, chi fa bene e chi no ma proprio per questo c’è un ampio margine di miglioramento. Come le persone, certi luoghi sono fragili, feriti da lunga trascuratezza e più è lungo l’abbandono, più sarà difficile e lunga la cura ma c’è una cura, si può fare molto.

Mi piace dipingere i muri. Credo nelle azioni collettive che fanno bene. Dipingere i muri con i bambini fa bene allo spirito, porta benessere alla società. Non solo perché dopo il muro è più bello ma anche per l’azione stessa, che avviene sotto gli occhi di tutti. Quando lo facciamo capita che le persone passino e a volte commentano, a volte vengono a dipingere e allora quel muro diventa anche dei passanti, ritorna ad essere davvero un bene collettivo, questa pratica è una piccola sostanziale rivoluzione del quotidiano.

Immagino l’asfalto di questa città come una pelle, Palermo è un corpo bellissimo e martoriato e magari è bellissimo perché è martoriato perché questa è la sua storia e la abbiamo fatta anche noi, allora ecco, certe azioni sono carezze su questa pelle, cura per questo corpo.

La cura è un atto necessario. Serve a chi la riceve e a chi la offre, abbiamo tutti bisogno di prenderci cura e che qualcuno si prenda cura di noi. La vita stessa ti porta a volte ad essere umile e chiedere aiuto ma altre volte ti da la possibilità enorme di essere tu a curare, e sono entrambe fasi necessarie, sono momenti.

Io sono una persona forte ma anche estremamente fragile: mi prendo cura del mio bambino interiore prendendomi cura di altri bambini, e sì: mi faccio del bene facendo bene.

Sono stato e sono molto fortunato, ho incontrato persone nella mia vita capaci di mettermi al centro del loro amore, di accogliermi nelle loro famiglie. 

La mia vita non è stata così lineare e grazie a questo ho davvero sperimentato LA Provvidenza, nella sua accezione più laica e profondamente spirituale. Dopo gli anni di convento, quando sono rientrato ed era da poco morta mia madre, non avevo un soldo, non avevo nemmeno il frigorifero in casa eppure mai mi è mancato il pane, mai mi è mancato di potermi saziare, grazie a persone che mi hanno messo al centro del loro amore, accolto nelle loro famiglie. Credo che la fortuna dipenda anche da quanto ti sai donare, il karma esiste e il bene ritorna: esiste una circolarità del bene. Vogliamo chiamarla fortuna? Il punto è questo: io non credo nella sfiga, credo nel suo contrario e il contrario della sfiga è il bene.”