La storia del pane è un soffice intreccio di mito, religione e istinto di sopravvivenza.

Se ne trovano tracce datate ancora prima del neolitico e sembra che in sostanza si trattasse di un metodo per assicurarsi cibo resistente al tempo e facilmente trasportabile. Certo ne passata di acqua e di lievito madre sotto i ponti da quando “pane” era un miscuglio di acqua e cereali (semi di orzo e grano selvatico) spezzati, sgusciati, tritati e setacciati. Sappiamo bene che è passata acqua, ingegneria dei forni e tante tante storie. 


Già sacro a Demetra, terra madre, e Cerere, deve il suo nome a Pan che leggendariamente sarebbe stato il primo a cuocerlo. Lo ritroviamo in tutte le culture, in tutti i culti e a ogni latitudine, diverso nel tempo e nello spazio ma sempre intriso della sua storia di nutrimento, sacralità, reciprocità.



Basta pensare al pane votivo - di ognissanti a Scicli, di San Giuseppe, di Sant’Antonio, dell’Immacolata, al pane eucaristico, alla tradizione del pane azzimo: il pane governa la storia dell’umanità. Questo perchè si tratta di un alimento complesso, frutto di competenza, sapere, previdenza. Non è un alimento che si trova in natura ma dipende dalla capacità di governare la natura, dalla scelta del grano alla sua macinatura fino ai diversi metodi di cottura. La sua capacità nutriente ne fa da sempre un vero oggetto di culto e di comunità: la tradizione più antica vieta di tagliarlo con il coltello e affida al capofamiglia il compito di spezzarlo e distribuirlo. Un misto di tradizione e superstizione vieta di gettarlo e di poggiarlo al contrario, prescrive di baciare il pane se cade a terra e di fare il segno della croce prima di procedere all’impasto - da fare solo con la luna crescente, pena la malriuscita del pane.

Insomma, in tempo di pandemia, intolleranze al glutine, indefessa lotta al carboidrato, sembra impossibile che sul pane si siano consumate tragedie, rivoluzioni sociali, ambizioni eppure   nel linguaggio di ogni giorno: buono come il pane, pane al pane, pane e acqua, togliersi il pane di bocca, non è pane per i tuoi denti.

 

Da Palermo a Londra: tradizioni che continuano


A Palermo il pane è un profumo che si spande dai forni dal mattino presto e invade la strada mischiandosi al sapore del caffè appena preso, magari frettolosamente, uscendo di casa. Il pane è frutto della terra e di come l’uomo la ha incontrata, lo scegliamo con cura perchè quotidiano, il pane, non deve essere buono, deve essere perfetto. Il segreto? Secondo il nostro Ottavio Guccione “Tempo, temperatura, tecnica e ovviamente passione: ogni impasto diverso ma tutti, tutti, dipendono dal tempo che gli dai. Eccolo il segreto: cominciare alle 02:30 della notte con l’impasto del giorno prima. E poi le farine, io ho un mulino per ogni farina, le integrali vogliono la pietra e hanno una fermentazione diversa, come diversa è la temperatura del deposito chè se la sbagli sbagli tutto il pane!
E poi questo strano mistero che è il forno. Il forno a legna, più complicato, non ha certo un termostato, ma, come molte cose di un tempo, più affidabile, perchè va a legna, non dipende dalla corrente elettrica - E che fa se se ne va la luce, devo lasciare digiune le persone?” - beh no, in effetti, manchi tutto ma non il pane!” Per Ottavio Guccione il pane è stato una seconda vita, trasformandolo da giovane e promettente atleta a pluripremiato panificatore.


Ci deve essere una strana alchimia del pane che chiama a sè le persone, anche Rocco Tanzarella racconta che il pane per lui è stato una rinascita: fotografo free lance con incarichi importanti - tra cui Vogue - e viaggiatore indefesso un giorno ha deciso di fermarsi per fare il pane. L’idea? Portare il pane di Altamura a Londra. “Rompe i denti, non lo vorrà nessuno, mi dicevano. Ma io lo volevo e così ho deciso di imparare, ho chiamato dalla Puglia un anziano panificatore Antonio Vitale e ho studiato e ancora studio. Il pane è un gioco di equilibri in cui tutto si deve bilanciare: l’aria, l’acqua, la farina, le mani, la temperatura e poi c’è il tempo. Più tempo gli dai e meglio viene, qui inforniamo il pane due volte. Lo prepari, poi lo sforni e deve stare sui carrelli 12 ore e poi tornare in forno e riposare di nuovo: così che la crosta si caramellizza, si sigilla mantenendo la mollica protetta, cos  rimane al sicuro e buona anche per 7 o giorni, la crosta magari indurisce ma se lo apri il cuore rimane soffice e gustoso.

 

Quello che conta è la materia prima: il grano, la farina. Le farine di grano duro non fanno muffa perchè hanno pochi amidi, ma le farine di grani antichi non ne hanno affatto, vanno impastate in un modo diverso e poi c’è il lievito madre che è una cosa viva e risente di tutto quello che c’è intorno: soffre il freddo, soffre il caldo ha una sua chimica e se non la conosci, se non la studi a fondo il pane non viene. Dunque io studio il pane e imparo dal pane, è una lezione continua di cura e di vita: dedicarsi, dedicarsi, dedicarsi, dedicarsi. Io passo da 12 a 14 ore al giorno in panetteria e non mi pesa perch  lo faccio con amore. Ricomincio da capo cento volte, imparo e sperimento e non mi pesa perchè il pane è come le storie d’amore, quando ti stanchi è finita. Ma se non sei stanco, se sei curioso allora è per sempre."